GLI OCCHI DELLE MAMME
La mamma è in piedi alle mie spalle ad una manciata di
centimetri da me.
Sento sul collo il suo respiro pesante e avverto addirittura
il calore che emana dalla sua pelle. Mi guarda ansiosa ed implorante: i suoi
occhioni neri compiono una continua gimkana tra me ed il suo bimbo che sto
cercando di rianimare sul fasciatoio. Qualche volta lascia che la sua spalla
sfiori delicatamente la mia, quasi a darmi una spinta per incoraggiarmi a fare
di più.
Ha nel cuore una fiducia illimitata nei miei confronti,
perchè io sono il dottore bianco, e quindi, nel suo immaginario, io sono più o
meno un semidio che sa e può tutto.
I suoi occhi esprimono terrore alla vista del loro piccolo,
speranza quando carpiscono dal mio volto qualche segnale di speranza, e totale
abbandono nelle mie mani che si muovono veloci sulla sua creatura: dove
potrebbero andare se non da me? Chi potrebbe aiutare il suo piccolo se non il
medico bianco?
Segue le mie dita mentre pompo ossigeno nei polmoni del suo
bimbo; accompagna le mie mani mentre iniettano un farmaco in vena o premono
ripetutamente sul piccolo torace per il massaggio cardiaco.
La mamma sta sempre in silenzio: non parla e non chiede,
quasi a non rovinare la sacralità delle mie azioni.
Quando ce la faccio a salvare il piccolo, la mia gioia è
tutta interiore: vorrei abbracciare quella mamma che si è fidata di me così
tanto, ma la cultura locale me lo impedisce. In quei momenti di gioia solenne, mi devo aspettare un grazie
fatto di un timido sorriso accompagnato da uno sguardo pieno di affetto. Poche
volte dalle sue labbra affiora la parola “grazie”, ma la riconoscenza la avverto
in tutte le sua membra, mentre le cosegno il piccolo e lo deposito tra le sue
braccia accoglienti.
Quando non ce la faccio nella mia battaglia per la vita e
vince la morte, gli occhi della mamma dapprima vagano sperduti fissando
dapprima il mio volto e poi quello del bimbo: non riesce a capire come possa
essere successo quanto in cuor suo già percepisce! Io snono il dottore bianco e
quindi nel suo immaginario io sono onnipotente: non può quindi essere vero
quello che l’evidenza le suggerisce. Il bimbo non può essere morto!
Cerca di catturare il mio sguardo per cogliere la verità nei
miei occhi: normalmente mi basta guardarla
intensamente per un attimo per trasmetterle tutto il mio sgomento ed il
mio senso di fallimento. Lei capisce anche prima che io parli. Qualche volta ha
il coraggio di abbozzare la tremenda domanda: “è morto?”, ed a me basta annuire
con il capo, senza proferire verbo. Solitamente piange e singhiozza in modo
sommesso: non urla e non fa scene. Capita che voglia toccare il bambino e poi
si ritira chiusa nel suo dolore.
Poche piangono forte e si disperano. Per lo più c’è una
disperazione silenziosa e colma di dignità.
Quanto affetto passa tra i miei occhi e quelli delle mamme
da noi ricoverate!
Quanto dolore e quante gioie riusciamo a condividere in
silenzio attraverso i nostri sguardi!
Quanto rispetto vorrei essere capace di trasmettere a questi
giganti d’umanità che sono le nostre mammine, così fragili ed indifese, ma
anche così forti e dignitose!
Fr Beppe Gaido
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